Ernesto Carbone è il deputato del PD che, nei giorni scorsi, aveva proposto alla Commissione Finanze della Camera un emendamento per introdurre:
“Sistemi di tassazione delle imprese multinazionali basati su adeguati sistemi di stima delle quote di attività imputabili alla competenza fiscale nazionale”.
Che tradotto, voleva significare: Google, Facebook, Amazon e gli altri colossi del Web paghino le tasse sul territorio in cui erogano i propri servizi, piuttosto che nel paese in cui risiedono. La storia di Google e dell’Irlanda, ad esempio, è nota. Ora l’emendamento è stato approvato. E Carbone ne ha parlato in questi giorni con un’intervista rilasciata al sito Formiche.net.
Riprendendone alcuni passaggi.
Vorrei rispondere a una recente battuta di Google, che in tono forse un po’ arrogante aveva detto di aver stabilito “la propria sede europea in Irlanda” e che “se ai politici non piacciono queste leggi, loro hanno il potere di cambiarle”. Ecco, noi lo abbiamo fatto.
Su com’è strutturato l’emendamento:
Viene stabilito l’aspetto che le società pagheranno progressivamente rispetto al loro fatturato, ma vorrei andare oltre, obbligando chi vende pubblicità in Italia a dotarsi di un domicilio fiscale italiano, ovviamente per il volume d’affari sviluppato nel nostro Paese. Cambierebbe tutto.
Secondo Carbone obbligare i colossi del Web ad agire fisicamente in Italia, porterebbe di riflesso vantaggi occupazionali.
Alcuni dati in particolare: Yahoo in Italia ha 90 dipendenti, 600 in Francia, 900 nel Regno Unito. Lo stesso dicasi per Msn che ne ha rispettivamente 60, 800 e 1600. Google più Youtube 120, 1000 e 1200. Una situazione che ci penalizza ulteriormente anche sul piano occupazionale e che pertanto non può proseguire.
La questione si fa delicata. Google, Facebook &Co. reagiranno?
E voi siete d’accordo: è un emendamento giusto?