A turno, tocca a tutti. Sì, chiedere le tasse a Google. Ci prova il PD con due emendamenti portati all’attenzione della commissione Finanze della Camera. Se ne fa portavoce Ernesto Carbone:
Imporre il regime fiscale italiano non tanto sull’attività delle multinazionali del web (!) nel nostro paese, bensì sulla loro attività pubblicitaria. In cui Google è leader. Verrebbe coinvolto “chiunque venda campagne pubblicitarie online erogate sul territorio italiano, debba avere una partita Iva italiana, ivi incluse le operazioni effettuate mediante i centri media e gli operatori terzi”.
Questo è il primo emendamento. Mentre nel secondo il PD richiede:
“Sistemi di tassazione delle imprese multinazionali basati su adeguati sistemi di stima delle quote di attività imputabili alla competenza fiscale nazionale”.
L’Italia torna così a puntare il dito contro Google. L’azienda sarebbe rea di versare le tasse nel paese della sede legale – per Google è l’Irlanda -, e non nei singoli paesi in cui operano. Questo, almeno, è il motivo alla base delle proposte del Partito Democratico. E su cui l’Italia deve interrogarsi: favorire o bloccare all’ingresso aziende estere. Senza contare l’inadeguatezza certa del nostro sistema, su tutti i fronti, alle esigenze del Web.
Quello che guarda a Google, comunque, è il primo dei due emendamenti. Lo fa in maniera fin troppo diretta, pur non citandolo.
Gli emendamenti “verranno esaminati attentamente” si è limitato a dire, Daniele Capezzone, presidente della commissione. Ma suona tutto così strano: questa Italia e Internet non sono ancora pronti per andare d’accordo.