Webtax: dal Governo arriva il no


Sede-Google

La Webtax, o Google Tax, non si farà. Almeno per ora. La proposta del deputato del PD, Francesco Boccia, dopo la cancellazione in Senato è stata ora fermata, in maniera di fatto definitiva, dal Ministero del Tesoro, che ha motivato così la propria posizione:

La proposta appare in contrasto con i principi di libertà di stabilimento e di libera circolazione delle merci dei servizi e dei capitali di cui all’articolo 26 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE). La proposta appare inoltre in contrasto con i principi di cui all’art. 41 della Costituzione che stabilisce la libertà dell’iniziativa economica privata, che implica anche la libertà di commerciare fuori dei confini del territorio nazionale.

La missione intrapresa da Boccia ormai mesi fa – contro molti, tra l’altro – è ormai piuttosto chiara ai più. Ricapitolando velocemente: imporre ai vari Google, Facebook, Amazon e simili la partita IVA italiana per servizi erogati nel nostro paese, seppur provenienti da aziende con sede all’estero. Una lotta magari giusta, ma che – stando a quanto riportato da Il Sole 24 Ore – avrebbe portato l’Italia verso una (ennesima) procedura d’infrazione.

Come procedere, allora? Già, perché il problema c’è ed è anche piuttosto grosso. Risolverlo internamente, è evidente, non si può.

Sarà invece necessario attendere la Commissione Europea, unica in grado di poter realmente intervenire. Il tema resta caldo, caldissimo. I tempi dell’UE, che intanto bacchetta l’Italia, piuttosto lunghi.

Nel frattempo Ernesto Carbone, anche lui deputato del PD, ha avanzato una nuova proposta che agirebbe sulle imposte dirette. Il testo è online. Si agirebbe tassando direttamente forme d’introiti come:

  • Display Advertising
  • Search Engine Advertising
  • Email Advertising
  • Social Media Advertising
  • Multimedia Advertising
  • Mobile Advertising

La trasmissione di questi dati, di questi pacchetti, in rete è il servizio erogato dalle multinazionali, come Google o Facebook, in Italia. Ed è quello che andrebbe tassato:

È possibile determinare la frequenza, e quindi l’abitualità, con cui determinati pacchetti, provenienti da un preciso indirizzo IP (univoco per ogni elaboratore sulla rete), attraversano i dispositivi di instradamento dei provider nazionali, avendo come destinazione finale ulteriori indirizzi IP relativi ad elaboratori (client) localizzati sul territorio italiano.

Vedremo come andrà a finire.

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